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L’altro Hayez: i quadri che parlano del Cristianesimo

Antonio Tarallo web
Pubblicato il 10-02-2022

Il 10 febbraio 1791 nasce a Venezia, il pittore

E’ un’esperienza fuori dall’ordinario. In un attimo tutto scompare. Un subbuglio di emozioni si scatenano di fronte ad opere di straordinaria bellezza. Potremmo chiamarla sindrome di Stendhal, oppure semplicemente stupore. E ciò che succede allo spettatore sensibile di fronte ad un quadro di Francesco Hayez, pittore senza tempo e padre del Romanticismo italiano. Il suo Bacio fa sognare. Andando in fondo alla vita e alle opere di quest'artista per alcuni versi enigmatico, divenuto famoso per i suoi quadri dal carattere risorgimentale, scopriamo un Hayez diverso, intimo, che guardava oltre, verso il divino.

Uno sguardo basso, un corpo che si prepara al martirio. Una veste rosso sangue lo avvolge. Attende il giudizio. E’ l’ “Ecce Homo” di Hayez. Ma cosa si nasconde veramente dietro quest'uomo con le mani legate? Un ritratto da giovane? Potrebbe anche se vogliamo, ma ciò di cui siamo sicuri è che l’artista ci pone di fronte a un Cristo prigioniero, esposto al pubblico con i polsi in avanti, legati da una corda. Gesù indossa un ampio telo rosso e logoro che copre solo in parte il suo corpo. Sul capo inoltre porta una corona di spine posata sopra i capelli lunghi che scendono sulle spalle.

Tra le mani è infilata una canna di bambù. Il viso di Cristo è incorniciato in basso da una barba scura e folta. In tutto questo tormento, c’è però un tratto inconfondibile: la regalità di Cristo. Non a caso, forse, il pittore - allora - si è ispirato al testo di Giovanni che - a differenza di quello di Matteo, tutto intriso di sangue - vuole proprio sottolineare che in quel momento della Croce, della Passione vi è tutta la regalità del Cristo Re. Il quadro affascina e ci lascia senza fiato. Riecheggia tutto della bellezza antica greca: la colonna posta dietro a Gesù e poi, quel ben visibile piede, con il secondo dito più lungo del primo. I canoni sono greci per un Uomo senza tempo.

Ma c’è anche un altro quadro a sfondo religioso raffigurante la “Vergine addolorata” con gli angeli e i segni della Passione. Anche in questo caso, Hayez rappresenta il soggetto religioso in una maniera del tutto nuova, moderna. E’ elegante Maria nel suo dolore per il Cristo. E poi, l’uso della luce che definisce nitidamente i contorni delle figure illuminandola da dietro, rende l’opera d’incredibile eleganza. Questo gioco di colori – ecco la sorpresa! – nasconde, in verità, un messaggio patriottico tutto italico. Ci sono, infatti, tutti i richiami alla bandiera tricolore: la tunica verde dell’angelo s’infiamma nella veste rossa e nel velo bianco della Vergine. Sull’intento “politico” della tela del resto non vi sono dubbi, se si considera che venne commissionata nel 1842 dalla contessa Carolina Santi Bevilacqua, nobildonna bresciana attivamente impegnata, come del resto tutto il suo casato, nella lotta risorgimentale contro gli austriaci.

Altro capolavoro indiscutibile è “La fuga in Egitto”. Una palma da dattero ombreggia il colosso di Ramsés II che affonda nella sabbia e nasconde in parte San Giuseppe che abbevera l’asino nelle acque del Nilo. Lontano, sullo sfondo, si intravedono le piramidi d’Egitto. Al centro, gli assoluti protagonisti della scena: la Madre e il Bambino. Il Bambino Gesù dona dei datteri alla Madre, in un gesto colmo di dolcezza, ma allo stesso tempo portatore di un significato simbolico: le foglie sono acuminate, come spine, lasciando presagire il destino futuro.

Da questa immagine è anche possibile dedurre una conoscenza della storia greca e romana assai approfondita. Sceglie il dattero, Hayez: frutto assai simbolico da sempre. Nella tradizione greco-romana, l’albero dei datteri, la palma, viene associata alla vittoria: i gladiatori romani venivano premiati con un ramo di palma e di alloro. Per la sua capacità di slanciarsi verso il cielo, la palma era considerata un elemento di collegamento tra il terreno e il divino.

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