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Saramago e il desiderio della fratellanza fra gli uomini

Antonio Tarallo Ansa - MARTINEZ DE CRIPAN
Pubblicato il 16-11-2022

Premio Nobel letteratura

Ci sono scrittori che con la loro penna hanno descritto la bellezza di Dio; ci sono scrittori che hanno dichiaratamente espresso la loro contrarietà alla religione; e ci sono scrittori che, seppur definendosi atei, nella loro opera - in fondo, in fondo - hanno cercato il Signore, attraverso percorsi esistenziali assai complessi e ardui, colmi di contraddizioni. Il premio nobel per la letteratura del 1998, José Saramago, fa parte di quest’ultima schiera; ma, a onor del vero, classificarlo sarebbe un po’ tradirlo, anche perché i grandi della letteratura difficilmente possono essere etichettati con facilità. Viaggiano, di solito, per il loro cammino, così distinto da altri, così unico e raro. Personaggio contraddittorio, Saramago; di quella contraddizione tipica di chi riflette, pensa e cerca di darsi qualche risposta. Così è stato per lui.

Le domande, le questioni “aperte”, per Saramago, hanno rappresentato il pungolo per la sua scrittura che è divenuta per l’autore portoghese lavoro-missione in cui nulla è lasciato al caso: “Ho un'opinione sulla quale non sarà d’accordo la maggior parte degli scrittori, e cioè, e lo dico veramente perché lo credo: scrivere è un lavoro. Scrivere è un lavoro, e come ogni altro lavoro deve essere fatto bene. Bisogna farlo bene. Tutto quello che è sublimato a proposito della missione dello scrivere, della scrittura in se stessa, mi sembra inutile, che non valga la pena. Facciamo noi scrittori un lavoro – alcuni meglio di altri – e questa è la nostra missione. Non rendiamo la scrittura una cosa sacra, perché se rendiamo sacra la scrittura dovremmo anche considerare sacro un paio di scarpe che ha fatto il calzolaio. Anche quello è un lavoro”. Bastano queste poche righe per comprendere il suo approccio con l’arte di porre su foglio le parole, le immagini, i sostantivi e i verbi: in sintesi, l’arte delle parole.

Nel 1990 pubblica “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” che suscitò non poche polemiche - soprattutto in Portogallo - per l’interpretazione della figura del Nazareno, tanto da fargli scegliere di lasciare la propria terra per per trasferirsi alle Canarie, dove è vissuto fino alla morte. Saramago rilegge la figura di Gesù Cristo privandola della sua dimensione divina, in una prospettiva solo umana che, forse, potrebbe definirsi anche troppo umana; ma è questa la sua scelta di narratore di storie, la sua impronta stilistica. Si discosta dalla tradizione cristiana del Dio-Uomo e con provocazione rilegge il Nuovo Testamento, seppur questo sia il libro “princeps” a cui attingere, la trama sottotraccia delle sue pagine. In questo romanzo, Saramago ci descrive Gesù come una persona normale, un giovane uomo in perenne conflitto tra paure e ansie. A prima lettura, dunque, il romanzo potrebbe dare spunto a non poche critiche, ma la scrittura di Saramago necessita una più approfondita critica, una più ampia visione d’assieme.

In un articolo comparso sul Sole 24 ore, dello scorso marzo 2022, il cardinal Gianfranco Ravasi, scriveva: “Il ribaltamento della cristologia e della teodicea cristiana è radicale, eppure lo scossone che Saramago ha inferto può essere salutare per ripensare in modo più autentico la stessa visione antitetica tradizionale. La rilettura speculare e, quindi, capovolta del messaggio cristiano da parte di Saramago può essere una spina nel fianco di una fede devozionale, consolatoria, sonnolenta”, descrizione che riesce a fornirci una chiave di lettura a 360 gradi dell’opera di Saramago; parole che fanno riflettere.

Per poter comprendere l’opera di Saramago, è necessario, dunque, porsi alcune domande: cosa vuole trasmettere l’autore portoghese? qual è il messaggio più importante che vuole affidare al lettore per mezzo della sua provocatoria scrittura? Nelle sue opere - così ne “Il Vangelo secondo Gesù Cristo” come in “Cecità” del 1995, e ancora in “Caino” del 2009 - si scorge una forte denuncia dell’iniquità sociale, della perdita del senso della solidarietà; Saramago dichiara, denuncia come tutto questo mondo ribaltato abbia portato la società contemporanea e le sue strutture a divenire profondamente miopi davanti ai disordini sociali.

Ma c’è anche un Saramago autore teatrale che ha voluto affrontare l’immagine del santo d’Assisi. In un’intervista del 2000, il premio Nobel per la letteratura, aveva dichiarato: “Francesco è sempre stato un santo popolare. È un santo con cui noi vorremmo vivere, incontrare per strada, o averlo per amico”. Questa attenzione al santo poverello confluisce nel suo testo drammaturgico “La seconda vita di San Francesco d’Assisi”, opera del 1987, in cui Saramago immagina una “seconda vita” per il santo; scrive del mondo contemporaneo al quale Francesco - ritornato sulla terra - cerca di parlare, ma senza aver risposta perché le sue parole sembrano cadere nel vuoto. Una profonda ammirazione per il santo d’Assisi traspare dalle pagine del testo; “Ora lotterò contro la povertà. È la povertà che deve essere eliminata dal mondo”, farà dire a Francesco. Ancora una volta, la scrittura dell’autore portoghese contesta una società in cui le parole “solidarietà” e “fratellanza” sono ormai cadute nell’oblio.

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