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Virus, i limiti dei 21 indicatori

Tito Boeri e Roberto Perotti Pixabay
Pubblicato il 11-11-2020

Bisognerebbe limitarsi a 3-4 indicatori: come sceglierli?

La divisione del Paese in zone rosse, arancioni e gialle è basata su 21 indicatori decisi in aprile dal ministero della Salute. Sono troppi. Nessuna organizzazione può prendere decisioni sulla base di 21 indicatori, per di più con pesi ignoti o variabili. Bisogna limitarsi a tre o quattro indicatori. Come sceglierli? Partendo dai due obiettivi prioritari in questo momento di emergenza: fermare la pandemia ed evitare il collasso dei servizi sanitari. Gli indicatori che non hanno niente a che vedere direttamente con questi due obiettivi vanno eliminati. Inoltre gli indicatori devono essere calcolabili in tempo reale: un indicatore che arriva con settimane di ritardo può essere addirittura fuorviante quando la pandemia si espande esponenzialmente. E più indicatori ci sono, più ritardi ci sono, come ha riconosciuto l'ultimo monitoraggio del ministero, uscito il 9 novembre con i dati dell'ultima settimana di ottobre e che riporta un Rt stimato sul periodo 15-28 ottobre, cioè con dati vecchi fino a quasi un mese. Infine devono essere indicatori verificabili dall'Iss, altrimenti le regioni possono manipolare i numeri, come sembra sia successo in qualche caso.

La stragrande maggioranza dei 21 indicatori attuali non soddisfa questi criteri. Siamo consapevoli che sono stati applicati con elasticità, anche perché molti sono stati forniti con ritardo da certe regioni o erano inutilizzabili. Ma la confusione e le polemiche che ne sono seguite potevano essere in gran parte evitate. A chi può interessare in una emergenza quanti questionari sono stati somministrati alle Rsa e come hanno risposto (indicatori 5 e 6)? Oppure prendiamo gli indicatori 10, 11 e 12: il numero e la tipologia professionale delle figure dedicate al contact tracing o al prelievo e invio dei dati ai laboratori, e la percentuale di positivi di cui siano stati individuati i contatti stretti: non aiutano a stabilire la pericolosità del contagio in una regione, sono inutili perché in questa fase il tracciamento è di fatto impossibile anche alle regioni meglio organizzate, non sono controllabili, e sono facilmente manipolabili. Tra gli unici indicatori davvero rilevanti, cioè i nove relativi alla "stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari", se ne scelgano tre o quattro calcolabili con precisione in tempo quasi reale, compilabili anche dalle regioni meno organizzate e verificabili dal ministero; li si renda disponibili a tutti e si concentri il dibattito su quelli.

Mantenere 21 indicatori serve solo ad alimentare lo scontento, perché tra tanti indicatori qualunque regione può trovarne uno in cui va meglio degli altri (di fatto o perché ha massaggiato i dati): la Calabria ha quasi esaurito i posti in terapia intensiva, ma ha minacciato di fare saltare il tavolo perché esibiva dati migliori di altre regioni su alcuni indicatori e non voleva essere relegata in zona rossa. Riteniamo giusto essere selettivi nei "ristori", offrendoli solo alle categorie colpite maggiormente dalle nuove misure restrittive. Dato che le decisioni sul lockdown sono definite in termini di codici di attività economica (i famosi codici Ateco), è opportuno attenersi a quelli anche nella definizione dei ristori. Ma nelle regioni rosse sono state chiuse quasi tutte le attività di commercio all'ingrosso e al dettaglio e quindi ci sono anche altre attività che, a monte, sono fortemente intaccate da queste chiusure. Come identificare queste attività senza prestarsi all'assalto alla diligenza? Esistono dati sui legami fra attività con diversi codici Ateco nella generazione di valore aggiunto (tabelle input-output ) anche a livello regionale. Si possono graduare i ristori in base all'entità di questi legami. Ciò che va limitato il più possibile sono le disparità di trattamento.

I piloti d'aereo in tutti questi anni hanno potuto usufruire di trattamenti di cassa integrazione straordinaria nettamente superiori a quelli garantiti a tutti gli altri lavoratori, grazie a un fondo alimentato inconsapevolmente dai viaggiatori quando acquistano un biglietto aereo. Alcuni hanno incassato assegni superiori ai 20 mila euro al mese, come documentato nella sezione "A porte aperte" del sito dell'Inps. Adesso vorrebbero che venisse loro estesa la Cassa Covid, a carico della collettività, mantenendo questi trattamenti privilegiati. Non è colpa loro se sono costretti a rimanere a terra, come non è colpa dei dipendenti privati se finiscono in cassa integrazione. Augurandoci presto tempi migliori, bisogna che accettino di essere trattati come gli altri comuni mortali. (Repubblica)

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