fede

Il “Papa buono” e la devozione per san Francesco

Antonio Tarallo Archivio Fotografico Sacro Convento Assisi
Pubblicato il 12-10-2022

Giovanni XXIII e il pax et bonum francescano

Man of the year: era il 1962 quando sulla copertina del Time compare il volto di un pontefice. E’ sicuramente l’uomo dell’anno papa Giovanni XIII, ricordato da tutti come il “Papa buono”, il Papa dei piccoli; ricordato da tantissimi come il papa del Concilio Vaticano II. Un uomo che - come una locuzione usata in diverse occasioni dice - “sapeva dove andare”. Difficilmente Roncalli - nato in umile famiglia - avrebbe pensato di passare alla storia come il pontefice del rinnovamento nella Chiesa.

Eppure è stato così: l’“aria fresca” che entra dalle finestre del Vaticano spalancarono le porte della Chiesa a nuove visioni, a nuove prospettive. Si spalancano le porte, si aprono le finestre, soprattutto. Metafora di tutto ciò, quella finestra del suo studio, aperta alla vigilia del Concilio: è, nella memoria di tutti, il discorso alla luna; parole, dettate dal cuore, che rappresentano - forse - uno dei più famosi e commoventi discorsi di un pontefice nella storia della Chiesa. “Tornando a casa troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nell’ora della tristezza e dell’amarezza”. Il chiarore dell’astro lunare illuminava la folla arrivata in piazza San Pietro per l’apertura dei lavori del Concilio che cambiò la storia della Chiesa.

Ma Roncalli sarà il pastore che si affaccerà non solo dalla finestra, ma anche dal finestrino di un treno. Un treno che non lo portava lontano. Assistiamo per la prima volta ad un'inversione di rotta: questa volta non è il “Poverello” di Assisi che va dal pontefice per chiedere di approvare una Regola, ma è Pietro in persona che va da fra Francesco per chiedere la sua protezione sulla Chiesa conciliare. E’ l’epoca di un pontefice fuori dagli schemi, fuori da ogni cerimoniale di corte, soprattutto fuori dai confini vaticani. Un tiepido sole d'autunno entrava nei vagoni di quel treno che lo portava ad Assisi - era il 4 ottobre 1962 - una calca di gente accorreva all'arrivo del papa Santo, pellegrino in terra umbra, in cerca di una benedizione “volante”. Fece il viaggio praticamente in piedi, dovendo benedire dal finestrino tutta la folla assiepata lungo i binari.

Ma quella di San Giovanni XXIII era una devozione che aveva radici antiche: Roncalli aveva professato i voti del terz'ordine francescano; il futuro pontefice, aspirante sacerdote al seminario di Bergamo, a quattordici anni era diventato terziario francescano. E, nel 1959, in visita al romitorio di Bellagra, rivelò addirittura che, da adolescente, aveva pensato di farsi frate.

Giovanni XXII non lo divenne, ma ugualmente fu “il più grande francescano del ventesimo secolo”, come lo definì lo scrittore Luigi Santucci, per la sua capacità di interpretare con la vita la massima di san Francesco pax et bonum. Questo motto fu molto caro a Roncalli, come egli stesso disse nel luglio del 1958, da Patriarca di Venezia, ai frati minori conventuali, ospite nella loro casa di Rio di Pusteria: “Sulla porta di questo alto e pio rifugio leggo le parole del motto francescano: pax et bonum. (…) Oh! Le parole incisive di san Gregorio Nazianzeno, come mi piace ripeterle: Voluntas Dei pax nostra. Come mi piace intrecciarle al motto francescano che aggiunge alla pax nostra, il bonum, che indica il successo felice del vivere nostro!”.

Quel sacerdote tanto legato al “motto” pax et bonum, diverrà il pontefice dell’Enciclica “Pacem in terris”: parole quanto mai, purtroppo, attuali.

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