religione

Cavalieri sul modello di Francesco

Franco Cardini
Pubblicato il 07-12-2021

 Oggi più che mai il mondo ha fame e sete di giustizia

Ormai, sul web, le polemiche dilagano su tutto e senza ritegno: l’incompetenza fa spudoratamente aggio sulla competenza, l’arroganza scende in campo contro la razionalità e spesso la mette intimidita a tacere. Si accusa lo stesso papa di “insistere sul solo tema del vaccino mentre la Chiesa va a rotoli”. In un contesto come questo, non mi ha certo stupito se il mio recentissimo volume L’avventura di un povero cavaliere del Cristo (Laterza), dedicato alle giovanili fantasie cavalleresche del Povero d’Assisi e al senso ch’egli – in un certo senso senza rinnegarle – riuscì a conferir loro dopo la conversione, è stato fatto segno ad attacchi feroci da parte di strani “cattolici”, i quali mi hanno accusato di aver dipinto un Francesco “fatuo”, “violento”, perfino “innamorato della guerra”; e all’estremo opposto da parte di altri, non certo meno pittoreschi, che al contrario hanno gridato allo scandalo contro il francescanesimo “utopisticamente irenistico”. 

Non ho francamente nulla da rispondere a farneticazioni del genere, accuse di questo tipo, le quali dimostrano solo la grezza ignoranza o la più ignobile malafede di chi le formula; e la voglia di farsi autopubblicità sia pure ricevendo la patente d’imbecilli. Più interessanti mi sono sembrate tre o quattro missive inviatemi di gruppi di studenti universitari evidentemente provisti di buona preparazione medievistica i quali si sono posti però un problema che riguarda il presente e il futuro: un “giovane Francesco” dei giorni d’oggi, come potrebbe mai ambire a una effettiva dignità cavalleresca” dei giorni nostri, e a patto d’interpretarla in che senso? Non si tratta certo d’entrare in certi sodalizi cavallereschi attuali, come l’Ordine di Malta, né di ricevere un’onorificenza: semmai, c’è da chiedersi in quale senso e in che àmbiti dovrebbe muovere chi volesse oggi “rifondare” una cavalleria con scopi ad essa compatibili.

Credo che una corretta risposta non possa prescindere ad una premessa filologica ed esegetica. Se Francesco, ai primi del Duecento, fosse stato armato cavaliere – il “sacramentale” della beneditio ensis non era ancor del tutto formalizzato nel regnum Italiae -, il suo iniziatore (solo più tardi sarebbe entrata nella pratica la consuetudine secondo la quale l’officiante della consecratio novi militis dovesse essere ordinariamente un prelato) avrebbe pronunziato nel conferirgli la cintura guernita d’argento che della cavalleria era il simbolo la formula d’origine agostiniana “Sis miles pacificus”, vale a dire portatore e custode della Vera Pace, quella del Cristo: che non è quella che dà il mondo. Pace ch’è anzitutto (qui hanno perfettamente ragione i musulmani) quella tra Dio e l’uomo che nasce dalla consapevolezza profonda del fedele di star obbedendo alla volontà di Dio. Tale volontà era tradotta nell’etica cavalleresca, elaborata in trattati redatti fra XI e XIV secolo (da Bonizone da Sutri a Bernardo di Clairvaux a Raimondo Lullo) e divulgata attraverso la letteratura delle chansons de geste e dei romanzi arturiani d’avventura. 

Ma il nostro tempo non ha minori occasioni d’avventura per dei cavalieri che volessero seguire il Cristo attraverso l’esempio di Francesco. Le foreste megalopolitane di oggi traboccano dei draghi dell’ingiustizia, dei maghi della violenza, delle streghe della fame, dei diavoli della malattia.  Oggi più che mai il mondo ha fame e sete di giustizia: lo si vede nei gommoni pieni di migranti che solcano il mare e spesso non arrivano in porto, nei campi di concentramento nei quali vengono rinchiusi coloro che fuggono dal terrore e dalla miseria che incombono sul loro paese, nelle periferie e nelle strade di notte dominate dalla violenza e dalla droga. Ma all’interno delle minoranze privilegiate di un mondo nel quale il malessere, le miseria e l’ignoranza la fanno da padroni, in quelle élites di solito egoistiche e distratte tra le quali alligna – quanto ha ragione papa Francesco! – la malapianta della “cultura dell’indifferenza”, nascono ogni giorno più folti anche i cespi dei fiori profumati della carità e dell’impegno.

Da medici come Gino Strada fino alle migliaia di ragazze e di ragazzi che s’impegnano nel volontariato, questi sono i nuovi Cavalieri del Cristo. Portino o no il saio, essi sono i veri compagni del Povero d’Assisi. E in un tempo come il nostro di scristianizzazione, vale a dire di profonda apostasia, quella è la sola maniera di dimostrare sul serio di esser cristiani. Altro che i sepolcri imbiancati i quali si preoccupano solo della lunghezza degli strascichi della porpora cardinalizia, accusano papa Francesco di “non parlare mai di Dio”, di “calpestare la liturgia”, di “voler ridurre i preti al rango di assistenti sociali” e non cacciano nemmeno un euro per fornire il loro contributo alla lotta contro il disagio che attanaglia almeno 5 dei 7 miliardi dell’umanità (non date retta alle ottimistiche “proiezioni” dell’ONU sempre più al servizio dei banditi delle Multinazionali)! Nessuno chiede a nessuno di abbracciare e baciare i lebbrosi. Ma questa è l’unica autentica battaglia del cristiano, e non ci sono balle che tengano.  (Rivista San Francesco - clicca qui per scoprire come abbonarti)

 

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