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Felicità, c'è la ricerca più lunga di sempre: la chiave è la famiglia

Sabina Cuccaro Pixabay
Pubblicato il 04-05-2020

Come la scienza della felicità controlla le nostre vite

Contrordine. Siamo cresciuti pensando che per essere felici ci servissero soldi, successo, una carriera e, poi, una famiglia. Invece, sempre più studi dimostrano come la felicità derivi dalle relazioni affettive. Ma andiamo con ordine. Per decenni abbiamo letto libri su come diventare ricchi e seguito il modello business, ispirati a personaggi come Gordon Gekko.

Il risultato? Tre milioni di persone, in Italia, soffrono di depressione (dato emerso nella Giornata Mondiale della Salute Mentale 2019); spendiamo 350 milioni di euro all' anno in ansiolitici. Dove abbiamo sbagliato? La risposta arriva dalla Harvard University che ha realizzato il più lungo studio sulla felicità.

Dal 1938, un gruppo di ricercatori ha studiato le vite di 724 giovani americani. Ogni due anni, gli scienziati li incontravano per sottoporli a questionari di valutazione ed esami medici coinvolgendo anche le mogli e i figli. Lo scopo era quello di capire quali sono i fattori che garantiscono una vita felice e, allo stesso tempo, comprendere cosa volesse dire per le persone vivere e invecchiare felicemente.

Nel 2015 sono stati pubblicati i primi risultati: a renderci più sani e felici, creando quel benessere psico-fisico che nel tempo allunga l'aspettativa e le condizioni di vita, sono le buone relazioni, cioè quelle durature. Come a dire che conta di più la qualità della relazione che la quantità, esattamente l'opposto di quello che sta succedendo: "Questo è il grande tema del millennio - dice la psicologa Maria Beatrice Toro - abbiamo aumentato la quantità delle relazioni, grazie soprattutto alla nuova componente virtuale, a discapito della qualità.

Ci incontriamo agli aperitivi o agli eventi ma sono venute meno quelle caratteristiche tipiche delle relazioni intime come la sincerità, la reciprocità, la confidenza e la possibilità di chiedere aiuto senza vergognarsi".

Andando in questa direzione rischiamo di rimanere incastrati nella happycracy, la dittatura della felicità, il dover necessariamente dimostrare agli altri di essere sempre contenti e soddisfatti della nostra vita. È la teoria dello psicologo Edgar Cabanas e della sociologa Eva Illouz esposta nel libro Happycracy.

Come la scienza della felicità controlla le nostre vite (Codice editore, 2019). Forse dovremo rispolverare il vecchio concetto di altruismo, "la chiave per stare bene": lo dice uno studio dell' Università di Zurigo (2017) che collega la generosità alla felicità. "Noi reagiamo agli stati d' animo degli altri, quando siamo circondati da persone tristi, siamo tristi anche noi. Se facciamo un' azione gentile per qualcuno, la gioia di questa persona ci contagerà. È il potere della condivisione" dice la Toro.

Ci aveva visto bene Mario Monicelli nel film Speriamo che sia femmina (1986): nella scena finale, sono tutte a tavola e, nonostante i problemi di soldi legati alla casa, si respira serenità e gioia. Perché, in fondo, la felicità è questione di famiglia. (Il Fatto Quotidiano)

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