esteri

La guerra quotidiana

Antonio Tarallo Ansa - SERGEI ILNITSKY
Pubblicato il 30-03-2022

Possibile uccidere un proprio fratello?

Mai come oggi ci si chiede: perché la guerra? Mai come oggi ci si chiede: possibile uccidere un proprio simile al fronte? Eppure, la guerra - in fondo, lo sappiamo bene - ci è sempre stata e, sempre ha mietuto vittime su vittime, lasciando il suo alacre odore di fumo e fiamme. Quell’Omero così antico già ci narrava le lance e le corazze dei soldati; l’imperatore Cesare scrive il suo “De bello Gallico”, cartolina d’epoca di una guerra lontana, della sua conquista di quel territorio che oggi è chiamato Francia. Scorrono, veloci, le immagini - oggi - di una guerra che in maniera così anacronistica viene dettata da un solo uomo in preda alla sete di potere, alla sete di un “qualcosa” che poi svanirà: temporaneo e vano desiderio che non può che dileguarsi quando l’esistenza finisce. Le immagini della guerra di oggi sono forti, così come quelle di ieri. E, come papa Francesco più volte ha ricordato, ancora non si è compreso che con la guerra “tutto è perduto”: la famosa frase di Pio XII davanti gli orrori della Seconda Guerra mondiale.

Lo scenario dell’opinione pubblica è giusto che sia occupato dal tema “Guerra in Ucraina”. Nulla di più giusto. Ma in parallelo c’è ne un’altra che, forse, un po’ di riflessione la meriterebbe pure. Basterebbe fare un piccolo giro - un giro di poche ore, nulla più - nelle grandi città per comprendere che un’altra guerra è in corso, purtroppo.

Nessuna riflessione apocalittica, sia chiaro, ma constatare che dopo due anni e più di pandemia, dopo un mese di guerra in Ucraina, sembra quasi che un una sorta di “morbo” inspiegabile sia entrato in molti: sarà la confusione dei tempi che stiamo vivendo? sarà la paura del futuro? saranno gli effetti della crisi economica che si sta vivendo? Questo, non è dato da sapersi, ed è difficile valutarlo. Ma il “morbo” è lì, presente, costantemente tra le strade di affollate e grandi città (la grandezza amplia, notevolmente, il “campione” di società) e si affaccia così “misteriosamente” (e anche in maniera preoccupante) e non è possibile non osservarlo, purtroppo; un “morbo” che ci pone nella condizione delle “isole deserte” che non comunicano fra loro, che non si guardano, che non vivono la condizione così naturale dell’essere consapevoli e coscienti di essere “fratelli tutti”.

Basterebbe solo salire su un bus, o una metropolitana di una grande città per rendersene conto. Le guerre nascono - oltre che da interessi economici, s’intende - dal non guardare “l’altro”, dal non considerarlo vicino, prossimo. In maniera soffusa anche sulle locomotive veloci di una metro si può dire che avviene ciò: lo sguardo basso sul cellulare, e il resto attorno non esiste. Non conta. C’è solamente l’“io” che è importante e se la signora accanto magari non riesce a stare in piedi, a me non interessa, perché sto guardando l’ultimo video di tik tok.

È più che naturale che non si tratti di critica alla società delle comunicazioni d’oggi, ma è all’uso erroneo che - troppe volte - si fa di questo. Vecchia frase: “Il coltello serve per mangiare ma anche per uccidere”. Dunque, dopo la pandemia, dopo che si è scoperti così vulnerabili, così fragili, ora che l’argomento del giorno è passato ad altro, si può ben ritornare sopra quel cellulare e continuare a non accorgersi di chi ci è accanto. È questo è il primo dato. Credo abbastanza incontestabile.

Poi, altro: il desiderio di sopraffazione. E questo ci interessa non poco visto che la guerra in Ucraina sta mettendo in risalto - e non poco - quel desiderio (quasi atavico dell’uomo) di espansione, di sopraffazione dell’uno verso l’altro. E, anche in questo caso, basterebbe fare un giro per le strade di grandi metropoli - come Roma, Milano, Napoli per non andare lontano - per rendersene conto. Ancora una volta, in tutto questo, vige l’“io” imperante. Incrocio di strade e precedenza stradale: enigma della società urbana. Non c’è bisogno di continuare il discorso, forse, perché un po’ tutti hanno esperienza di come il tutto si risolva, di solito: passa il più prepotente.

Discorsi banali questi? Forse. Ma importante ricordarli, proprio oggi, proprio in questo momento storico in cui viviamo l’eterna lotta tra il Bene e il male. Ed è proprio in questo quadro che entra in gioco la “proposta cristiana” che mai come nel periodo della Quaresima si sente forte, viene ri-proposta dalla Chiesa: Cristo vince il male, con il bene; vince le tenebre con la luce. Qual è - allora - la luce che ognuno di noi può portare? Qual è il bene che serve oggi? Si parla tanto - ed è più che giusto - della domanda: cosa possiamo fare noi per la società di oggi? Qual è il nostro contributo affinché il mondo possa ricordarsi il perché è stato creato?

E, allora, la mente viaggia lontano, cercando i massimi sistemi per un qualcosa che - invece e in fondo - nasce nel nostro “piccolo orto”: rispetto verso il vicino, a cominciare da quel nostro compagno di viaggio della metropolitana che altro non è che simbolo del nostro viaggio qui su questa terra. Madre Teresa di Calcutta scriveva: “Se vuoi cambiare il mondo, vai a casa e ama la tua famiglia”. Niente di più facile, sempre se vogliamo.

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