francescanesimo

La Novena di Natale - La presentazione al tempio

Padre Enzo Fortunato Archivio fotografico Sacro Convento
Pubblicato il 20-12-2020

Continuiamo il viaggio alla scoperta delle scene dell'infanzia di Gesù

Dopo tanta attesa, una stella finalmente brilla per tutti noi. Una luce che splende per illuminare le genti. L'episodio della Presentazione al tempio ha in sé uno dei passaggi più elevati del Nuovo Testamento, un altro Cantico, che si aggiunge al Magnificat di Elisabetta e al Benedictus di Zaccaria. Nel secondo capitolo del proprio racconto, dopo il Gloria, l'evangelista Luca ci “dona” altri versi che puntellano la storia della Chiesa delle origini e diventano pietre miliari della fede. Quel Nunc dimittis pronunciato da Simeone, un uomo la cui anima era mossa dallo Spirito Santo, un devoto che a lungo ha aspettato la Salvezza, avendo ricevuto la promessa che non sarebbe morto prima di vedere la redenzione di Israele. Nunc dimittis, canta Simeone in occasione della Presentazione: ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace. I suoi occhi hanno visto la salvezza, una salvezza che è fatta di luce per illuminare le genti. Lasciamoci illuminare anche noi. Elemento esistenziale francescano Gesù viene riconosciuto da Simeone, prima lodato come luce di salvezza, poi ne viene predetta la sorte: l'essere venuto tra noi per la rovina e la risurrezione di molti.

Ancora una volta la luce e la tenebra, la potenza salvifica ma al tempo stesso divisiva di Cristo, che coinvolge chi lo accoglie e lo celebra, così come chi lo ignora o gli volta le spalle. Potenza divisiva la ebbe anche il nostro frate Francesco, che con la sua bontà intransigente chiese ai suoi compagni adesione a un messaggio tanto semplice quanto rivoluzionario: lo spogliarsi dei propri averi e prendere con sé la sposa più nobile e bella102, la povertà. Il suo fu un messaggio di vicinanza al Maestro, quel Gesù rovina e risurrezione di molti. Un messaggio che a sua volta mise in imbarazzo i benpensanti del tempo, in quanto controcorrente, spiazzante e tanto luminoso da divenire accecante: «Il santo, notando come la povertà, che era stata intima amica del Figlio di Dio, ormai veniva ripudiata da quasi tutto il mondo, volle farla sua sposa, amandola di eterno amore, e per lei non soltanto lasciò il padre e la madre, ma generosamente distribuì tutto quanto poteva avere».

Facciamo nostri questi insegnamenti, lasciamo che il Signore entri nella nostra vita e la sconvolga per farne un faro luminoso. Il Nunc dimittis segue la visione di Dio: la capacità di accogliere la Vita deriva dalla capacità di riconoscere nei propri gesti e nei gesti delle altre persone la Salvezza. Ora lascia, Signore. Vado in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza. Facciamo nostra questa preghiera bellissima: pratichiamo il bene, pratichiamo la luce. Quando noi facciamo un gesto di bene, di generosità, stiamo esercitando un atto di salvezza. Simeone ridà Gesù tra le braccia di Maria. Lei lo accoglie a sé, lo stringe al petto da Madre premurosa e innamorata. Una Madre che ha dovuto affrontare tre momenti, che ora proviamo a comprendere, rielaborare, interiorizzare. Una prima suggestione, l'osservanza della legge. Una madre pia, fedele, diligente, che assieme a Giuseppe presenta Gesù al tempio, nel rispetto della legge mosaica. La Sacra Famiglia è fatta di persone devote, dedite, osservanti. Questo ci dice come affrontare la vita: non dobbiamo mai separare vita e religione. I due elementi vanno uniti. Occorre saper essere onesti, osservare la legge: Giuseppe e Maria sono due persone che hanno la virtù dell’onestà.

Una seconda suggestione, sperimentare la salvezza dei gesti. L'incontro con i profeti Simeone e Anna ci dà un altro messaggio. Il Nunc dimittis ci dice una cosa straordinaria: ora lascia, Signore, perché ho visto, ho sperimentato la Salvezza. L'importanza di sperimentare il Vangelo, di vivere la Bellezza. Nel momento in cui iniziamo a compiere un gesto evangelico, è allora che trasformiamo le nostre vite. Non è un processo istantaneo: lo stesso Simeone ha atteso chissà quanti anni perché la propria esperienza fosse piena. Non in un giorno, ma lentamente, le nostre vite evolvono, acquistano senso, si riempiono di gioia. Poter dire, un giorno, che i nostri occhi hanno sperimentato una briciola di Vangelo, che abbiamo assaggiato la Salvezza nella nostra vita. È un punto d'arrivo, che si conquista attraverso piccoli gesti, apparentemente insignificanti, che cambiano la nostra esistenza, il nostro modo di vedere, sentire e vivere le cose. La terza suggestione, sperimentare e vivere il dolore, senza negarlo o fuggirlo. È questo un altro degli insegnamenti che ci lascia l'episodio della Presentazione al tempio, il fatto di prepararci ad accogliere il dolore. Una spada trafiggerà il nostro cuore. Questo passo «è alla base della devozione popolare per l'Addolorata (festeggiata il 15 settembre). I frati Servi di Maria hanno anche una Via Matris, in parallelo con la Via crucis. Nelle pene di questa donna, Mater dolorosa, i semplici trovano conforto ai propri dolori. L'identificazione avviene sulla base della comune esperienza umana: Maria è come una qualunque altra donna che abbia molto sofferto. Per estensione questo culto ha dato diffusione, un tempo e in certe zone, a nomi femminili come Addolorata, Dolores».

L’alfa e l’omega: il dolore che dovrà affrontare Maria, la sofferenza che proverà Cristo, la Passione, la croce, la lancia che trafiggerà il suo costato: «Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua». Accogliere la vita, nel bene e nel male, ci porta a essere consapevoli che la nostra esperienza non sarà tutto gioia o tutto dolore, ma una miscela. Sta a noi, la grande capacità di affrontare con il sorriso – che non sia beffardo, ma benevolo e accogliente – gli eventi della vita: «A un tratto la Vergine Santa mi parve bella, tanto bella che non avevo visto mai cosa bella a tal segno, il suo viso spirava bontà e tenerezza ineffabili, ma quello che mi penetrò tutta l'anima fu “il sorriso stupendo della Madonna”». Come Maria che prende a sé suo Figlio, abbracciamo la luce di Gesù con la serenità interiore di chi ha la certezza che tutto ciò che ci accade non è l’ultima parola della nostra vita. Gesù è stato presentato al tempio, Simeone l'ha riconosciuto e così potrà farlo chiunque avrà la prontezza di aprire il proprio cuore. D'ora in avanti, l’umanità non potrà evitare il confronto con Cristo, per amarlo o per detestarlo, per la rovina o la risurrezione. Impossibile restarne indifferenti. Non possiamo non chiederci come Francesco abbia vissuto e si sia “presentato al tempio”.

Potremmo in modo sommario ma spero significativo dirci che Francesco si presenta al tempio attraverso il Vescovo del suo tempo, Guido, a cui – con l'atto della spogliazione – affida la propria vocazione. Si presenta al tempio attraverso la lettura del Vangelo. Celebre e significativo è l'episodio della triplice apertura del Libro, assieme a due suoi compagni, per chiedere al Signore quale fosse la strada da percorrere: «Allora il beato Francesco – che ad ogni apertura del libro rendeva grazie a Dio, il quale per tre volte mostrava apertamente di confermare il proposito e il desiderio da lui lungamente vagheggiato – disse ai due uomini, cioè a Bernardo e Pietro: “Fratelli, questa è la vita e la regola nostra, e di tutti quelli che vorranno unirsi alla nostra compagnia. Andate dunque e fate quanto avete udito”» Si presenta al tempio attraverso la mediazione della Chiesa e di chi la rappresenta, i suoi Pastori, i suoi Papi: ecco che andrà da papa Innocenzo III per la conferma del Propositum. Infine, Francesco ci invita a presentarci al tempio ogni volta che ci chiede di raccoglierci attorno all'eucaristia. (Dal libro Il Natale di Maria)

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