francescanesimo

La Novena di Natale - La strage degli innocenti

Padre Enzo Fortunato Archivio fotografico Sacro Convento
Pubblicato il 22-12-2020

Continuiamo il viaggio alla scoperta delle scene dell'infanzia di Gesù

Piange il cielo e piange la terra. Piange Rachele e piange Maria. Piange l'umanità tutta, trafitta e insanguinata. La strage dei bambini è compiuta. Un dolore innocente si è preso le nostre vite. Straziate da ferite mortali, da tutto il male che l'uomo infligge all'altro uomo. I lamenti arrivano al cielo, sappiamo che il Signore ci ascolta. La porta del Paradiso si apre davanti a noi. Una speranza, un cammino: vivere quel dolore, comprenderlo, saperlo accogliere. Saper restare, saper essere umani.  

Come possiamo porci di fronte a tutto questo male, di fronte a quest'indicibile dolore che penetra e scompagina le nostre vite? Siamo capaci di comprendere il messaggio di Salvezza di Gesù risorto, di rinfoderare le armi, di mettere a tacere la nostra arroganza, di consolare chi è straziato, di abbracciare chi pare essere vinto da un'immane disperazione?  Siamo chiamati a considerare la violenza come una costante nella storia dell'uomo. Anche se non vorremmo, anche se non la vorremmo. Quella evangelica degli innocenti non è la prima né sarà l'ultima: stragi si susseguono nei secoli, nei millenni e ci accompagnano tragicamente ancora oggi, nei quattro angoli del mondo. Ma possiamo al tempo stesso provare ad abbracciare una speranza nuova, aiutandoci con la Parola.

La Bibbia stessa, infatti, è pervasa da violenze, stermini, soprusi. Ma c'è un punto di rottura, una diga che pone fine al linguaggio e agli esempi di violenza. Questo punto di non ritorno si chiama Gesù e il suo dirompente messaggio di amore. Un percorso che porterà il Figlio e i suoi apostoli a praticare e diffondere il rivoluzionario principio del superamento dell'odio, la pratica della non-violenza: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». Un inno all'uguaglianza, un inno alla pace tra gli uomini, un inno al superamento delle barriere che ci dividono, che ci fanno nemici gli uni degli altri. Da un circolo vizioso, innescare un percorso virtuoso che porti a fare il bene per il bene. Altrimenti, il rischio – per usare nuovamente un'espressione di Ferdinand Ebner – è rimanere imprigionati dalla “muraglia cinese del proprio io”.  

Così, nella Lettera agli Efesini, l'apostolo Paolo rende simbologia spirituale ciò che altrove era attrezzatura militare - cinturone, corazza, calzature, scudo, frecce, elmo, spada –, ciò che viene altrimenti usato come linguaggio della violenza: «Attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo della pace; afferrando lo scudo della fede col quale si possono spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno, prendendo l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio». Verità, giustizia, pace, fede, salvezza, Spirito e parola di Dio, ecco di cosa è fatta l'armatura di un cristiano.  Il dolore è presente nella vita di ciascuno di noi. Bisogna a nostra volta  accompagnarlo con la giusta apertura di spirito. Sovviene la recente riflessione dello psicoanalista Massimo Recalcati, il quale prende spunto da La Peste, romanzo di Albert Camus pubblicato immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, che racconta le vicissitudini di una città travolta dal morbo mortale della peste.

Tema, in era Covid, tornato tristemente d'attualità. Recalcati ci regala una vera e propria lezione esistenziale che titoliamo Saper restare. La riflessione si riferisce alle due prediche del pastore Paneloux, caratterizzato da una fede incrollabile. Nella prima, tenuta davanti a una chiesa gremita, parla della peste come di un castigo divino, che ci colpisce in quanto peccatori. Poi però, il male si diffonde a macchia d'olio tra la popolazione. Paneloux, assieme al dottor Rieux, è testimone in prima persona della malattia e della morte di un bambino, una delle tante vittime innocenti. Un evento che sconvolge l'esistenza e le convinzioni di una vita. Così, arriviamo alla seconda predica e, nel farlo, ci affidiamo alle parole di Recalcati, il quale spiega come Paneloux sostenga di essersi sbagliato: «La peste non è il castigo e la frusta di Dio, non è la manifestazione della vendetta sadica di Dio nei confronti della perdizione degli uomini. La peste non si può spiegare, il male non si può spiegare, il male non ha senso, il nostro compito è quello di resistere al male. Ma come si può resistere al male? Qui il pastore evoca un’altra città in un altro tempo, anch’essa devastata dalla peste. In questa città c’era un monastero e i monaci dovettero fronteggiare il dramma dell’epidemia, alcuni di loro erano spaventati e volevano abbandonare la città, temendo il contagio. Il priore prese la parola e disse “non bisogna fuggire dalla peste, l’unico modo per resistergli è saper restare […] I buoni sono quelli che sanno restare vicini a chi soffre”, a chi è travolto dal male». 

Saper restare accanto a chi è malato, saper accogliere la sofferenza. Saper restare, splendida riflessione, altissima parabola di vita. È sempre Recalcati a darci anche una chiave di lettura francescana, il farsi ultimi tra gli ultimi, saper restare vicino ai reietti: «È lo stesso gesto che compie Francesco all’inizio della sua conversione, i lebbrosi erano situati fuori dalla città e Francesco mostra che il compito di un cristiano è quello di stare vicino a chi è escluso, agli ultimi, a chi soffre. Ecco saper restare è un nome, nome forse più alto della cura. Tocca anche a noi [...] Saper restare, saper restare uniti anche di fronte alla violenza del male, questo è ciò che rende umano l’uomo e ciò che ci rende umani oggi». (Dal libro Il Natale di Maria, di padre Enzo Fortunato)

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