religione

Elisabetta Canori Mora, una beata per la famiglia

Antonio Tarallo Pubblico Dominio
Pubblicato il 05-02-2021

Terziaria dal grande amore per Dio 

Elisabetta Canori Mora, beata della Famiglia. E in tempi come questi, ricordarla è un dovere. Giovanni Paolo II, quel 24 aprile 1994 (anno della Famiglia), all’omelia della beatificazione pronunciò queste parole: “Elisabetta Canori Mora, da parte sua, in mezzo a non poche difficoltà coniugali dimostrò una totale fedeltà all’impegno assunto con il sacramento del matrimonio e alle responsabilità da esso derivanti. Costante nella preghiera e nell’eroica dedizione alla famiglia, seppe educare cristianamente le figlie ed ottenne la conversione del marito”, Parole che non hanno tempo. Come la figura della beata, terziaria trinitaria. 

A Roma, il 21 novembre 1774, nasce Elisabetta Canori da Tommaso e Teresa Primoli. La sua è una famiglia benestante, profondamente cristiana e attenta all'educazione dei figli. Il padre era un importante proprietario terriero. Gentiluomo di vecchio stampo, Tommaso: amministrava senza avidità, senza il solo fine del guadagno.  La piccola Elisabetta viene educata dalle suore agostiniane di Santa Rita a Cascia. Una educazione che segnerà nello spirito, per sempre, la sua vita.

A ventidue anni, il matrimonio con un giovane avvocato, Cristoforo Mora, il quale cede alle lusinghe di una donna di bassa condizione e riduce la famiglia all’indigenza. Mora, donna forte, donna di una religiosità che è fede, soprattutto. Una fede radicata nel servizio per i più deboli, gli emarginati.  Una fede che diviene sempre più profonda e che le permetterà - nonostante il tradimento del marito - di vivere in totale fedeltà al Sacramento del Matrimonio. Nascono due figlie:  Lucina e Marianna.

Si può parlare - per questa beata che sarebbe da riscoprire sempre di più - di un eroismo quotidiano, unito a un’intensa vita spirituale. E tutto questo suo elevarsi al Cielo,  viene “premiato” in modo singolare attraverso doni speciali: esperienze mistiche, scrutazione dei cuori, spirito di profezia, poteri taumaturgici che fanno della sua casetta luogo privilegiato per accogliere, consolare, guarire le tante ferite fisiche e morali dei suoi contemporanei. Naturale è che da lei, già allora considerata la santa paziente delle donne tradite, trovino particolare accoglienza le famiglie in difficoltà. 

In questa storia, c’è però altra storia che si innesta. Quella della conversione del marito, Cristoforo. “Ridete, ridete, voi direte la messa e confesserete”, un giorno la Canori Mora dirà al marito che la derideva per la sua vicinanza alla Chiesa. Profezia che si avvera. Nei quaranta giorni di malattia, prima di morire, Elisabetta si accorge che Cristoforo è più presente, magari anche disposto a vegliarla. La gioia di vederlo completamente cambiato, convertito avverrà solo dopo la sua morte, avvenuta a Roma il 5 febbraio 1825.

Da questo preciso istante inizia il processo di conversione di Cristoforo, che, si scoprirà in seguito, pochi mesi prima si è visto morire tra le braccia anche l’amante. Da impenitente dongiovanni trasformato nel più irreprensibile vedovo, cerca, nel pianto e nella preghiera, il perdono per il suo passato: è un percorso che inizia con l’innamorarsi per la seconda volta di Elisabetta. Dirà di lei ai suoi figli: “una simile madre non si trova al mondo, e io sono indegno di esserle stato consorte”. Viene chiamato al saio francescano, e diviene sacerdote nel 1834: si avvera, così, la “profezia” della moglie. Morirà l’8 settembre di undici anni dopo con fama di santo, diventando il miglior “capolavoro”, uno dei più bei miracoli  di Elisabetta Canori Mora. 

 

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