religione

Il crocifisso: dolore umano e speranza

Silvia Ceccarelli
Pubblicato il 26-06-2021

Nell’immaginario collettivo la figura di Cristo messo in croce rappresenta l’amore per Dio, Padre di tutti gli esseri viventi, e per il prossimo. Nella storia del cristianesimo, come pure nelle altre professioni di fede – che sebbene non riconoscano la natura divina di Cristo, ne accolgono comunque la sua missione profetica –, Gesù Cristo è un uomo realmente esistito nella storia, un uomo ch’è stato crocifisso per aver predicato tra le genti il suo messaggio di amore e fratellanza. Gesù è lì, sulla croce, resistente in modo inerme all’ingiustizia terrena che lo condanna, e sofferente. Ma l’immagine della sua sofferenza non arreca alcuna offesa, perché Gesù ha offerto la sua stessa vita per riscattare i peccati dell’uomo. 

Egli è simbolo di gratuità. E di speranza, per chi crede che il suo sacrificio possa condurre gli uomini sulla via della pace e della giustizia e perché trovino riconciliazione tra le sue braccia aperte al mondo tutti i popoli di religione diversa. Ne L’Unità del 22 marzo 1988 Natalia Ginzburg, scrittrice e drammaturga di origini siciliane, a proposito del crocifisso, scriveva: «Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo smettere di dire così? Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo». Come sosteneva anche la Ginzburg, per il mondo cattolico Gesù è il Figlio di Dio, mentre per i non credenti è un uomo ch’è stato prima tradito, venduto, torturato e poi crocifisso per amore del Padre e per i suoi simili. 

Per chi non crede, è semplicemente colui che ha immolato la sua vita per amore del prossimo. Pensando ai secoli passati, molti sono stati gli uomini che hanno subìto persecuzioni, torture, ingiustizie a causa dei principi di fede in cui credevano (e che sostenevano) o per aver combattuto in nome dei propri ideali; Cristo, nell’immagine in croce, si fa interprete di ognuno. Nessuno, forse, al pari di Gesù, ha portato al mondo questo messaggio rivoluzionario di fratellanza, uguaglianza e solidarietà tra gli uomini. Nella nostra quotidianità chiunque, credente o non, è solito riferirsi all’espressione “portare la sua croce” per indicare il peso di un dolore che opprime l’esistenza. Gli insegnamenti di Cristo risuonano ovunque, a prescindere dal simbolismo teologico o dalla religione che si professa, poiché ciascuno porta con sé un valore universale: “non giudicate e non sarete giudicati”, “non condannate e non sarete condannati”, “perdonate e vi sarà perdonato”, “ama il prossimo tuo come te stesso”. Potranno togliere l’abbraccio di Gesù dai muri delle scuole, degli ospedali, ma mai dal nostro cuore.

 

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