religione

Lo scrittore Georges Bernanos e la fede

Antonio Tarallo Le Salon Littéraire
Pubblicato il 22-02-2022

Grande scrittore francese

Paul Claudel, Charles Péguy, François Mauriac e Georges Bernanos: il Novecento letterario francese è stato più che prolifico di autori che hanno avuto come “oggetto” della loro scrittura l’Infinito, Dio. In una certa misura sembra alquanto strano che proprio la stessa Francia dei Lumi, anticlericale e “giacobina” abbia fornito alla letteratura mondiale i volti più importanti di quella che potrebbe considerarsi la “corrente cattolica” del panorama letterario mondiale.

Il nome di Georges Bernanos è legato inesorabilmente dal famoso romanzo “Diario di un curato di campagna” (1936), di cui molti ricordano la stupenda trasposizione cinematografica ad opera di Robert Bresson. Ma tante altre sono state le pagine che lo scrittore francese ha dedicato a Dio. Come non ricordare la purezza del personaggio di Chantal de “La gioia” (1929)? Oppure, la sua opera teatrale Dialoghi delle Carmelitane, in francese Dialogues des carmélites (1949)? L’opera teatrale presenta molti aspetti drammaturgici interessanti tanto che “I dialoghi delle Carmelitane” è considerato un vero e autentico capolavoro teatrale.

Il testo racconta la pena della ghigliottina inflitta alle sedici monache del monastero carmelitano di Compiègne. Le Carmelitane di Compiègne, piccola cittadina a nordest di Parigi, nel 1792 sono cacciate dal loro convento e obbligate ad abbandonare gli abiti monastici. Condannate a morte per “fanatismo”, subiscono la ghigliottina a Parigi, nel 1794. Udita la sentenza una delle suore, nella sua semplicità, chiederà: “Signor Giudice, per piacere, cosa vuol dire fanatismo? E il giudice “è la vostra sciocca appartenenza alla religione”. “Oh sorelle – dice allora la suora – avete sentito ci condannano per il nostro attaccamento alla fede. Che felicità morire per Cristo Gesù”.

Scorrendo le pagine del "Diario di un curato di campagna” veniamo colti di sorpresa quando il parroco affronta il tema dell’essere cristiano. Le considerazioni, profonde e spirituali del poco erudito “parroco di campagna” spiazzano il lettore: “Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire”. Parole che - certamente - scuotono. Ecco, una delle peculiarità della scrittura di Bernanos: saper scuotere l’intelligenza e l’anima del lettore, di ogni cristiano.

In questo volo pindarico tra le opere di Bernanos non può mancare un cenno a quello che è considerato l’esordio letterario dello scrittore: “Sotto il sole di satana” (1926), che anticipa il più famoso “Curato di campagna”. L’abate Donissan, protagonista del romanzo, è ossessionato dall'eterno conflitto tra il Bene e il Male e dalla paura del fallimento della sua missione. Donissan è un povero prete di campagna, di poca cultura, ma toccato dalla Grazia di Dio che opera in maniera imperscrutabile.

Bernanos rimane così un autore tutto da riscoprire e da approfondire. Troppe volte, purtroppo, dimenticato dalla critica, avrebbe ancora da dire. Tanto da far riflettere.

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