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Addio scrivania: è il tramonto dell'homo sedens

Anais Ginori Unsplash
Pubblicato il 08-02-2021

Lo smart-working è una rivoluzione antropologica

«A PARIGI mio padre, che ogni giorno della sua vita andava in ufficio; a mia madre, che non ci andava mai; a tutti coloro che per oltre tre secoli si sono alzati ogni mattina per andarci ». È su queste poche righe che Pascal Dibie apre la sua Ethnologie du bureau , breve storia di un' umanità seduta, come recita il sottotitolo. L' etnologo francese, già autore di Storia della camera da letto , pubblica un' epopea che va dai primi uffici a Versailles fino ai coworking dei giovani d' oggi. «Se parliamo di bureau nell' accezione di luogo nel quale si scrive possiamo risalire addirittura fino agli scribi egizi e agli scriptoria dei monaci», osserva Dibie, 71 anni, famoso anche per aver pubblicato due studi etnologici su un villaggio in Borgogna a trent' anni di distanza. L' idea del saggio è cominciata ben prima che il Covid imponesse la rivoluzione dello smart working con la morte annunciata dell' ufficio. «Scommetto non sarà così facile liberarsene»,commenta l' autore. «Non sono sicuro che esista qualcosa di più serio di un ufficio», aggiunge in un testo che alterna ironia e conoscenza enciclopedica. Nei suoi tanti significati - mobile, stanza, organizzazione professionale e sociale - la parola bureau risale al Medioevo, quando i tavoli erano coperti con un panno ruvido, la bure , usato per proteggere il legno dalle macchie d' inchiostro, dallo sporco e dagli urti.

I cambiavalute se ne servivano per attutire il rumore delle monete sul legno quando facevano i loro conti. I tavoli con la bure , ricorda Dibie, potevano servire a cucinare, scrivere, fasciare un poppante. «Solo a partire dall' inizio del 1700 appaiono le scrivanie di lavoro personalizzate come le conosciamo oggi». Quella di Luigi XV, che si può ammirare a Versailles, è un prodigio di ebanisteria. Sempre in quel periodo comincia a svilupparsi la "vita da ufficio" riservata a pochi. L' ala nord della reggia viene ristrutturata. Sono costruiti spazi per archiviare atti di vendita, trattati internazionali. I ministri lavorano nel loro "gabinetto", non si dice ancora bureau , ufficio.

La parola diventa popolare solo nell' Ottocento, legata a un concetto non amatissimo - la burocrazia nuovo strumento di dominazione della Rivoluzione. «Dopo la scomparsa del Re, al quale si obbediva perché aveva un potere divino, bisognava inventare un nuovo sistema per garantirsi la fedeltà assoluta a un' entità non fisica chiamata Stato». I commis diventano sacerdoti di una nuova religione laica.Il "popolo degli impiegati" invade le città, cambiandone gli orari. Café e brasserie devono reinventarsi per la pausa pranzo. Ci sono i burocrati dello Stato, soprannominati rond-de-cuir , per via dei cuscinetti di pelle aggiunti alle sedie, ma anche notai, agenti di cambio, e tutte le nuove professioni di servizi che accompagnano l' ascesa della borghesia. «Sono le premesse del settore terziario che sboccerà nel Ventesimo secolo».

Nella sua Fisiologia dell' impiegato Balzac scrive: «A Parigi quasi tutti gli uffici si assomigliano. In qualsiasi reparto si vaghi per sollecitare il minimo risarcimento di lamentele o il minimo favore, si trovano corridoi bui, luci soffuse, porte forate, come palchi di teatro». Da Poe a Orwell, da Kafka a Gogol, gli scrittori raccontano luoghi tetri, opprimenti, patologici. «Temo che la burocrazia oggi non sia più l' espressione di un disordine, o addirittura di una malattia - osserva Dibie - ma di una fredda, necessaria ed efficace razionalità». L' ufficio ha continuato ad avere qualcosa di inquietante perché porta con sé la volontà di controllo sui lavoratori. Nel 1860 il ministero delle Finanze viene ricostruito secondo lo stile panottico delle carceri: un immenso spazio aperto dominato da un piano mezzanino dove i capi ufficio sorvegliano gli impiegati. Nel 1871, dopo un altro incendio, i commis dello Stato fanno pressione per ritrovare ambienti più piccoli e chiusi, più caldi e accoglienti, e con un minimo di intimità.

Da allora, racconta l' etnologo, la vita di ufficio oscilla tra spazi più o meno aperti o chiusi ma sempre all' interno di una "umanità seduta" che solo da poco, con le nuove tecnologie e il lavoro di scrittura in piedi, sdraiati, comunque in movimento, sta in parte cambiando. L' homo sedens ha un addestramento fisico precoce, con i bambini piegati per ore sui banchi fino all' età adulta. «Essere seduti è cominciare a essere cittadini». Niente più della sedia, e ancora di più della poltrona, spiega l' etnologo, racconta il senso di superiorità dell' Occidente rispetto ad altre civiltà. L' autore esamina altri feticci della vita d' ufficio dell' Ottocento come la spilla, o la graffetta, «piccolo ma emblematico oggetto del sistema di divisione del lavoro», che rimane sui nostri desktop virtuali. Nell' ufficio smaterializzato usiamo ancora cartelle, bustine, cestino.

Il comfort nei luoghi di lavoro lo portano gli americani con la rivoluzione dei colletti bianchi, dei primi quartieri d' affari. L' open space, le mense, i mobili design, le regole d' abbigliamento. In quell' universo prettamente maschile irrompono colleghe donne. Centraliniste, stenografe, addette alla reception. Diventano mogli o amanti. Anche se dovranno pazientare molto per avere altre carriere e stipendi paritari, non dover restare a casa ed evitare il lavoro usurante della fabbrica è già una forma di emancipazione. «Dall' inizio della crisi sanitaria, con i vari lockdown, l' ufficio è stato rivalutato da molte donne per avere una via di fuga dalle incombenze famigliari », commenta l' etnologo.

Se l' ufficio è stato per molto tempo "il luogo dove si va", secondo la definizione che propone Dibie, è difficile capire cosa diventerà in futuro. «L' ibridazione era già in corso prima del Covid», risponde lo studioso. «Siamo entrati in uno strano sistema eco-fluido, basato su questa nuova e ineludibile trinità portata dalla Generazione Y: mobilità, connessione, e ricarica » . Dibie è convinto sia importante mantenere la separazione tra luogo professionale e vita privata almeno per qualche giorno a settimana. «La vita in ufficio è un microcosmo, uno spazio in cui facciamo società. Non essere più in grado di stare in questo universo che ti permette di fuggire da te stesso solleva questioni psicologiche molto serie». L' isolamento dello smart working comporta anche rischi per la tutela dei lavoratori. «È una perdita di garanzie e protezione, com' era già successo nel trasferimento dalla fabbrica all' ufficio. Assistiamo a una nuova tappa nel processo di individualizzazione » . Dopo tre secoli, l' epopea dell' homo sedens potrebbe concludersi. «Per una o due generazioni resteremo all' interno di questo sistema con vari aggiustamenti. Poi avremo l' ufficio sottopelle». L' etnologo ricorda con una certa malinconia il rituale scambio di battute a cena tra i suoi genitori. «Che c' è di nuovo?», domandava la madre. «A parte l' ufficio, niente», rispondeva lui. E in quel "niente" c' era molto più di quello che immaginiamo.  (La Repubblica)

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