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Il web è di tutti ora è il momento di riprendercelo

Luciano Floridi Pixabay
Pubblicato il 29-01-2021

Non lasciamo che a decidere le regole siano le compagnie private

I fatti sono noti: dopo l' assalto al palazzo del Congresso a Washington, Facebook, Instagram, Twitter e YouTubehanno sospeso gli account di Trump a causa della pericolosità dei suoi messaggi violenti, incendiari, falsi o fuorvianti. Google e Apple hanno bandito la app - e Amazon ha sospeso il web hosting - di Parler, la piattaforma estremista di destra frequentata dai sostenitori di Trump. Simili iniziative sono state prese da Pinterest, Reddit, Shopify, TikTok, e Twitch. Ha funzionato: la disinformazione online sulla frode elettorale è crollata del 73%. Ora la domanda più ricorrente e pressante è: queste aziende hanno fatto bene? Chi è favorevole alla sospensione argomenta che sono aziende private, che offrono servizi secondo termini d' uso da loro stabiliti, e sono padrone di sospendere qualsiasi utente se i termini non sono rispettati. Chi è contrario obietta che non è solo una questione di coerenza con i termini d' uso ma anche di interesse economico, arbitrio, e rischio di censura. La sospensione avviene oggi perché Trump è un perdente in uscita, perché scontri passati possono finalmente trovare sfogo, e perché l' operazione aiuta a ingraziarsi la nuova amministrazione Biden. Troppo tardi e troppo poco per la società, troppo conveniente per le aziende, troppo rischioso per la democrazia.

Il vero problema non è Trump, ormai fuori gioco, ma che si lasci all' arbitrio aziendale la decisione di oscurare qualsiasi fonte. Le aziende in questione non sono neutrali, ma promuovono un' ideologia liberista anti-conservatrice, che privilegia la libertà di espressione su ogni altro diritto, dalla privacy alla sicurezza, purché coerente con le strategie di business. Nel caso di Trump, l' ideologia californiana può anche piacere, ma in altri casi potrebbe erodere il pluralismo e silenziare voci dissenzienti. Per questo chi vuole difendere la libertà di espressione si trova, paradossalmente, in compagnia di forze di destra e autocratiche altrettanto avverse alla decisione di bloccare gli account di Trump. La sovranità digitale nelle mani delle aziende spaventa sia chi la teme come un' erosione della democrazia, sia chi la osteggia come una minaccia al proprio potere autoritario.

Come si risolve il problema? Da un punto di vista di legalità e d' interesse pubblico, le aziende hanno agito correttamente nel bloccare Trump e Parler. Ma, cosa fondamentale, bloccando Trump e Parler queste aziende private hanno dimostrato che svolgono un ruolo cruciale di servizio d' interesse pubblico, determinando che cosa può o meno avvenire nell' infosfera e quindi ormai nella vita di miliardi di persone. L' infosfera è uno spazio relazionale condiviso e comune, un commons, per usare una parola inglese. È lo spazio dove l' umanità passa sempre più tempo e dove si svolgono sempre più attività, dall' educazione al lavoro, dalla socializzazione all' intrattenimento, dal commercio alla finanza, dall' esercizio della giustizia alla discussione politica, dalla ricerca al giornalismo. Perciò l' infosfera appartiene a tutti. Quindi chi è preoccupato per il fatto che delle aziende hanno silenziato Trump e Parler ha ragione, perché la sovranità su questo spazio non può essere lasciata alle imprese private, a strategie di business, autoregolamentazione e forze di mercato. È venuto il momento di prendere sul serio la dimensione di commons dell' infosfera e regolamentarne l' uso con procedure pubbliche, trasparenti, democratiche, uguali per tutti, e giustificate legalmente da tutti i diritti umani, per evitare arbitrarietà, abusi, e discriminazioni. Ricordiamoci che le aziende che hanno sospeso Trump sono anche parte del problema, perché sono loro ad aver prima dato e poi tolto il megafono al demagogo.

Le aziende hanno fatto bene, per ragioni di autoregolamentazione dei servizi offerti e interesse pubblico, ma non va affatto bene che abbiano questo potere, per ragioni di accountability e sovranità digitale mal riposta. Oggi siamo stati fortunati e le aziende in questione hanno preso la decisione giusta, ma incrociare le dita non è una strategia politica. Domani potrebbero prendere la decisione sbagliata, o non prenderne alcuna quando è invece necessario anche se economicamente dannoso. Si devono stabilire le regole giuste, per garantire che queste aziende operino nell' interesse sociale comune, non per semplice buona volontà e convenienza, ma per ragioni di responsabilizzazione normativa e accountability democratica. Può sembrare irrealistico, ma basta leggere il Digital Services Act per capire che l' Unione Europea sta arrivando alle stesse conclusioni (si veda l' articolo 20). Il valore dell' infosfera non sta nella sua infrastruttura fisica o computazionale, spesso di proprietà privata, ma nei contenuti forniti e condivisi dalla comunità degli utenti e ad essa appartenenti.

Sta quindi a questa comunità difendere tutti i diritti umani e salvaguardare la bontà dell' infosfera come common contents, attraverso regole democratiche che impediscano o rimuovano, in modo equo, graduale e soggetto a rettifica, informazioni illegali, violente, intolleranti, o indiscutibilmente infondate, e al limite ne blocchino le fonti, che inquinano l' infosfera. Il fatto che spesso ci possa essere incertezza quando si parla della qualità dell' informazione non toglie che altrettanto spesso non ci sia alcun dubbio. E se questo sviluppo sembra preoccupante, perché si pensa che la politica non dovrebbe mai controllare la libertà di parola, bisogna ricordare due cose: che anche il diritto di espressione conosce i suoi limiti nell' armonizzazione con altri diritti fondamentali; e che la politica non è uguale ovunque. È solo nella democrazia che i limiti alla libertà di parola non sono censura, ma tollerante rispetto della comunicazione civile, quella che non fa male a nessuno ma è buona per tutti, come nell' Unione Europea. (La Repubblica)

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