Speciale invasione Ucraina

Ucraina, sotto le bombe con i più poveri

Giacomo Gambassi Frati Minori Conventuali Ucraina
Pubblicato il 09-05-2022

I frati vicini a chi scappa dalla guerra

Lo chiama il «convento delle ultime cene». Sì, al plurale. E quando fra Mikola Orach ne parla, il tono della voce si fa cupo. Non siamo in Terra Santa ma nel cuore di Leopoli, in Ucraina.

«È fra le nostre mura che abbiamo assistito e continuiamo ad assistere alle ultime cene di tanta gente», racconta il frate minore conventuale. «Si fermano da noi quelli che fuggono dalla guerra. Abbiamo aperto la nostra casa accanto alla chiesa di Sant' Antonio. Arrivano intere famiglie: sono formate da marito, moglie e figli. Ma il marito non può lasciare il Paese, come ha stabilito il governo. Allora accompagna il resto della famiglia fino al varco con la Polonia, magari in auto. E nel nostro convento c'è la sosta prima del congedo lungo il confine. Dormono da noi. E consumano la loro ultima cena prima di separarsi. Si guardano negli occhi. Si accarezzano le mani. Nei loro sussurri e nei loro sguardi è racchiuso il dolore di un intero popolo aggredito. Ed è inammissibile che questo accada».

È un'efficace rete solidale quella che hanno tessuto i francescani fin dall'inizio della guerra. Quindici frati in tutto, in prima linea con le loro cinque comunità che formano la Custodia della Santa Croce e che sono in collegamento costante con Assisi. Conventi con le porte aperte: per accogliere gli sfollati, per distribuire gli aiuti, per essere accanto a chi ha scelto di restare. Anche sotto le bombe.

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«Siamo pronti al peggio», ripetono fra Piotr e fra Marian. Sono a Kremenchuk, polo industriale lungo le rive del Dnipro. Proprio la città che porta il nome del fiume è stata attaccata nel corso dell'offensiva russa per il Donbass: nei giorni scorsi nove missili sono caduti sull'impianto termoelettrico e sulla raffineria uccidendo anche una persona. «Se n'è andato chi aveva la possibilità - spiegano i religiosi -. Sono rimasti i poveri che non intendono abbandonare le case. Perché è tutto ciò che hanno. "Dove vado se fuggo? E che cosa faccio senza i soldi?", si chiedono». A loro i frati offrono pasti, cibo, vestiario.

«Qui molte persone parlano anche il russo - riflette fra Mikola -. E pensavano che, parlando la stessa lingua, sarebbero stati risparmiati dall'esercito di Mosca. "Ai civili non faranno nulla", sostenevano. Era un'illusione. I militari invasori hanno ucciso, derubato, violentato». Per i conventuali, Kremenchuk è un presidio di frontiera. «Il mondo ritiene che la guerra in Ucraina sia iniziata a febbraio ma per noi dura dal 2014 - chiarisce il francescano -. Ed è da allora che portiamo beni di prima necessità qui per essere smistati anche in quella che veniva definita la "zona grigia", all'incrocio fra Ucraina, Russia e Bielorussia».

Sembra una piccola Assisi il convento di Leopoli. Fa da riferimento. Ed è diventato anche un hub d'impronta francescana, capace di irradiare gli aiuti in tutto il territorio. «Noi frati facciamo la spola almeno due volte la settimana con la Polonia per reperire alimenti, abiti e medicinali - dice fra Mikola -. Se fino a un paio di settimane fa il nostro impegno si concentrava sui profughi, adesso l'emergenza è quella delle provviste soprattutto per le zone più calde».

È grazie ai social network e a un gruppo di «amici», come li chiama il religioso, se i carichi possono giungere ovunque. Si arriva fino a Mackowce dove i frati e le suore riescono a recapitare gli aiuti nei luoghi di battaglia o nei villaggi isolati ma dove i "figli di san Francesco" sono anche stati in grado di far nascere un asilo a tempo di record. O si arriva a Boryspol che le truppe russe hanno lambito e dove ha scelto di rimanere padre Andrzej. «Per continuare a essere in mezzo al mio popolo - confida -. Abbiamo vissuto momenti drammatici per una settimana».

Il religioso si è asserragliato nel convento con più parrocchiani possibili. «Con l'intento di proteggerli», fa sapere fra Mikola. «Addirittura il sindaco aveva ordinato di sgombrare la città». Sono i farmaci una delle priorità in queste ore. «Riusciamo a reperirli e li doniamo a chi ne ha urgenza», sottolinea il religioso. Compresi i soldati ucraini che bussano alle porte delle strutture francescane. Nel primo giorno di guerra un parrocchiano, che sarebbe stato subito chiamato alle armi, si è sposato nella chiesa di Leopoli dove dopo qualche ora ha ricevuto il Battesimo il figlio di un altro degli arruolati.

«Li sosteniamo con quello che raccogliamo. Li abbiamo visti crescere, li conosciamo bene. Hanno indossato l'uniforme per difendere la patria. In genere hanno bisogno di cose semplici: magliette, calzini, il necessario per l'igiene personale. E molte volte le portano ai commilitoni feriti che sono ricoverati negli ospedali militari e non possono mettersi in contatto con i propri cari». Basta spostarsi di cento chilometri da Leopoli, quasi al confine con la Romania, per incontrare il convento che è stato trasformato in una "casa famiglia".

Sorge a Bolszowce e accoglie i profughi che hanno deciso di non lasciare il Paese «nella speranza di tornare nelle terre d'origine», precisano i cinque frati. In cento hanno trovato un rifugio sotto il tetto che rimanda a quell'abbraccio di Francesco oltre ogni barriera. Sono donne e bambini, in gran parte. È stata creata anche una scuola per i ragazzi. «La guerra non finirà presto - conclude fra Orach -. Per qualche mese possiamo sfruttare le nostre risorse interne. Poi le necessità cresceranno. E abbiamo anche un'ulteriore preoccupazione».

Quale? «Che l'Occidente, dopo l'intensa mobilitazione di queste settimane, non sia più così vicino al nostro popolo. Perciò dico: non ci dimenticate. C'è un intero Paese da salvare oggi, e da ricostruire domani». (AVVENIRE)

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